16-21 Ottobre 2024 – Saghro e Draa Valley -Atlante – Marocco
L’inerpicarsi tra monti, con le nostre forze, capacità e sapere, si accompagna a diversi significati che ognuno di noi avverte con diversi entusiasmi e profondità. Spesso il silenzio, gli orizzonti vasti, l’armonia tra il passo (o la pedalata) e il respiro, i profumi e i colori, la vicinanza di amici fidati… portano all’introspezione, a capire quali siano gli elementi della natura che generano serenità d’animo e benessere.
Per queste innate reazioni ci sono ragioni ataviche che risiedono nella nostra mente e che ci portano a comprendere perché la bellezza della natura sia in realtà oggettiva e condivisa da chiunque (tratteremo questo tema con l’aiuto di uno scienziato che ricerca in questo ambito).
Questa bellezza si esprime, negli ambienti a noi più vicini, con l’effetto del tempo sul paesaggio: l’azione dell’acqua, delle piante, degli animali ed anche dell’umanità stessa.
Le nostre montagne si modellano e cambiano aspetto, ci mostrano i segni delle ere geologiche; in alcuni casi passando persino dal pascolo al ghiacciaio e poi di nuovo, più recentemente, alla prateria fiorita o al bosco. I torrenti scavano valli e bacini che poi si riempiono di detriti.
Con questi presupposti è facile comprendere la sorpresa della struggente meraviglia di un viaggio nelle montagne dell’Atlante in Marocco. Qui la roccia appare quasi inalterata da più di un milione di anni: quasi nessuna forma di vita, qualche raro diluvio e ancor più rari corsi d’acqua hanno potuto modellarla.
Un percorso di sei giorni in MTB, con quasi 500 km e 5.000 mt di dislivello percorsi, è stato un’opportunità per osservare da vicino la maestosità di un paesaggio per noi insolito ma che progressivamente disvela la sua sconfinata bellezza. Cuore e respiro scandiscono l’unico segnale di vita nel fare che le ruote possano cavalcare fondi impervi, piste polverose o sabbie morbide di greti asciugati dopo la recente devastante alluvione. Un passaggio d’acqua veloce, aleatorio ed improvviso che non ha quasi lasciato alcun beneficio.
Tutt’intorno una visione che ipnotizza per la sua imponenza; dal rosso ocra al giallo e fino al nero delle aree vulcaniche non alterate fin dalla metamorfosi antica dello scontro tra le placche terrestri.
Ed a tratti ecco emergere, nella sua essenza più significativa, il concetto di resilienza: qui e là un tamerice centenario o qualche acacia che sono andati a carpire acqua da chissà quali profondità o a conservarla da qualche raro evento piovoso.
E poi scampoli di umanità nelle oasi, tratti di civiltà moderna per cultura e straordinariamente antica nel ritmo del vivere. Mezzi di lavoro arcaici ed immutati seppure a poche centinaia di km da qualche città brulicante. Un rapporto con la montagna fondamentalmente lontano da quello che si mostra nelle nostre valli. Forse fatalismo o innata remissività, ma una cosa in particolare, a tal proposito, è rimasta nel cuore: la gioiosa accoglienza dei bambini, che a gruppetti compaiono dal nulla, tra le rocce più aspre, per avvicinarsi al sentiero come alla pista un po’ più battuta, e salutare da vicino cinque biciclette che, chissà perché, dovevano passare proprio da lì, in quel momento.
Pierluigi Donna