I racconti del CAI Rovato: Al Passo Brizio per vedere lo zio Adamello – di Pierluigi Donna

Agosto 2024
Dalle scialpinistiche dell’inverno era rimasta la voglia di constatare cosa si fosse conservato di quelle nevicate tardive che avevano portato oltre 20 m di neve in Adamello.
Rifugisti, studiosi e vecchi alpinisti l’avevano sempre detto: “la neve che conta (per il ghiacciaio, s’intende) è quella novembre-dicembre… l’altra non porta a nulla”.
Però, nella speranza di veder conservato questo nostro Pian di Neve, si pensava che 27 m di fiocchi depositati non potessero scomparire con il caldo di una sola estate.

Benché il Passo Brizio, dal Garibaldi, sia tra le vie più lunghe per andare in Adamello (molto più lunga, ormai, di quando il ghiacciaio portava una quota di un centinaio di metri in più!), era il modo più veloce per osservare da vicino quella che ancora oggi rimane tra le più grandi distese di ghiaccio in Europa.

Con una sola giornata di tempo è bene partire con il buio da malga Caldea, anche perché vedere lo zio Adamello che si indora con le prime luci del mattino, ha sempre il suo fascino (foto 1 – vedi galleria sotto). Colazione veloce al Garibaldi per poi guardarlo dall’alto (foto 2) è un altro momento di grande pace.
E’ da lì, poco dopo aver ripreso la salita, che la verità appare in tutta la sua franchezza, senza filtri ne dubbi: ai piedi della parete Nord, i residui di un antico piccolo ghiacciaio mostrano una bocca aperta come in un lamento, e dei metri di neve di fine inverno non c’è più traccia (foto 3).
Sul fondo l’antico laghetto si sta colmando di sabbia; è il destino di molti laghi alpini.

Sappiamo bene che l’umanità, noi tutti, abbiamo delle responsabilità in questo processo, oltre alla natura che comunque fa il suo corso incurante dei nostri destini, e molti di noi si danno da fare seriamente per mitigare gli effetti delle nostre attività. Gli scienziati più equilibrati ci dicono che dobbiamo essere impegnati ma anche fiduciosi; dobbiamo imparare la resilienza osservando l’ambiente.

Anche qui, nella pietraia ai piedi dei versanti scoscesi, ci guardiamo attorno ed osserviamo centinaia di cespugli di “Doronico dei macereti” con una espressione di salute e spinta vegetativa mai viste (foto 4). Molto simile all’Arnica, occupa una quota leggermente più alta e sta prendendo il posto delle nevi eterne. A suo modo arricchisce il paesaggio e ne conserva una bellezza gratificante (più a valle decine di altri generi, con orchidee di varie specie, stanno facendo altrettanto).

Ci godiamo quindi il nuovo paesaggio (quello delle prossime generazioni), superiamo un nevaio con ramponi e una corda di sicurezza, scaviamo un passaggio per poter “toccare” la parete, raggiungiamo la ferrata (foto 6)… e saliamo (foto 7 e 8).

Ormai non confidiamo più su particolari sorprese alla vista del Pian di Neve (foto 9): il ghiaccio è vivo, una vedretta, e della neve nuova rimane solo qualche traccia ai piedi dei versanti scoscesi. Eppure l’emozione ti riempie sempre il cuore alla vista delle Lobbie, Cresta Croce, e Cima Cannone, con quell’ “ippopotamo” che ti fa pensare alla forza (resilienza, appunto) di giovanissimi alpini protagonisti di imprese irripetibili.

La giornata è stupenda e c’è ancora tempo per “allungarla” tornando dal Passo del Lunedì e dal Pantano (foto 10), per vedere la mandria quasi stanziale di caprioli, mansueti e veloci, che non fanno alcuna differenza tra Doronico e Arnica… tanto loro non ne hanno di dolori!

Pierluigi Donna

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